La Scuola di Atennis

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Sette più una: le arti sono otto, una volta aggiunto il tennis. C’è l’uomo tennista al centro dell’universo. Inteso come personaggio, dello sport ma non solo, capace di esprimere al meglio, in una mano la racchetta nell’altra una palla gialla, geometria e dialettica, musica e aritmetica. Persino grammatica, se è quella del bianco. Ma anche retorica e astronomia, volendo parlare di palombelle infinite acchiappate più in alto che si può. La Scuola di Atene diventa quella di Atennis, il passo è breve se tra gli dei compare, bellissimo e biondissimo, pure un certo Tsitsipas. Un filosofo della contemporaneità che da quelle parti ci è nato per davvero. C’è un tempo, questo, in cui il tennis è corretto inserirlo all’interno di un tempio. Merito della sacralità espressa da alcuni dei suoi interpreti maggiori: Federer e Nadal su tutti. Racchiusi, guarda un po’, nel nome di Raffaello. Autore immortale di quello che è giusto considerare il manifesto del Rinascimento. Che uno si accorci in Rafa e che l’altro si riduca in “ErreEffe” – giocando con le iniziali – l’assonanza con il numero uno del Cinquecento viene naturale. Poi c’è Djokovic, che per modi di stare al mondo – forse – è il più filosofo di tutti. Un circoletto mica male, questo qui. Un club nel quale le arti sono poste una al fianco dell’altra con l’idea di prendere e dare, per crescere. Ci sono i maestri e ci sono gli allievi, funziona così in base all’età anagrafica e al bagaglio tecnico di tutti loro. A ognuno il proprio compito, esattamente come nelle scuole che crescono i talenti. Equivale a prendere la migliore accademia di tennis e metterla su tela, applicando strappi qua e là, anche alle regole. C’entra Roma, perché l’opera originale, quella vera, è da quelle parti che viene conservata. E allora c’entra Venditti. Guardatela bene: “tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto”. Assenti tutti e due, ma il richiamo è quello. Ogni partita, in fondo, è una notte prima degli esami. Tra ricerche razionali e prospettive a cui tendere. Con la speranza grande di salire al gradino massimo della scala, ognuno la propria, dipingendo archi in alto nel cielo. Come sanno fare solamente i tennisti artisti. Vero Rafa? Anzi, vero Raffaello? Viva il Rinascimento, prima di tutto quello del tennis italiano. In tutti i campi, soprattutto quelli in terra rossa. Più simili al nostro modo di fare arte.